Nadia Simonelli.

La pittrice Nadia Simonelli materializza con linee, macchie e colori di fantasia pezzi di storia di vita del mondo femminile  presenti nella realtà della sua immaginazione e che hanno trasmesso all'artista momenti di emozioni e passioni per il vero vissuto. Traspare nei suoi lavori, spesso, una vena di fanciullezza mai abbandonata e una serietà che si trasforma a favore di una vera maturità artistica, basata su aspetti atipici dell'arte, rendendo unici ed originali i suoi lavori. La realtà della pittrice Simonelli raffigurata con piccoli, ma incisi riferimenti c'impone una concreta meditazione sui valori della vita. Il suo intento è quello di comunicare sentimenti, emozioni e valori  interpretandoli nelle forme più originali e fantastiche che un corpo sinuoso di una donna può assumere. Nadia Simonelli è una donna  che vive emozioni fondate alla soglia della trasparenza, in un ambiente di vita sociale che non gli risparmia gioie e dolori. Lei rimane legata ai valori umani rendendoli motivo della sua esistenza. Nei suoi lavori, spesso, s'intravede quel duplice aspetto di solitudine, ma non di tristezza; di donna  armoniosa e socievole che riesce  a coinvolgere gli altri e portarli alla riflessione e alla meditazione. E’ una donna  fedele ai valori divini che sono, spesso, contenuti nelle sue opere. La sua pittura è basata sul timbro profondo e vivace del colore, sulla ricerca di effetti prospettici, su annotazioni romantiche della realtà, su una esigenza di sincerità e di visione sentimentale che gli consente una comunicazione immediata, calore di umana partecipazione, senso poetico e candido di pittrice concreta. La vitalità di questa pittrice, è ben lontana dall'esaurirsi. L'artista infatti va sempre scoprendo, in un vagabondare per il suo mondo, angoli, o meglio personaggi significativi per una intima necessità di contatto diretto, di verifica personale attraverso l'esperienza della consuetudine e dell'amicizia. Perciò la pittura di Nadia Simonelli nasce prevalentemente da un ripensamento su temi paesistici cari al suo cuore: luoghi visti e poi sognati e ricreati nel silenzio del suo studio. Così l'atmosfera diviene, nell'opera realizzata, una sorta di commissione tra sentimento e memoria e il colore ubbidisce, oltre che alle esigenze del primo momento carpito al correre inesorabile del tempo alla necessità della fantasia, disponendosi in toni fondi e più o meno chiari. L’arte si Nadia Simonelli è più vicino al sentimento, alla ricerca della commozione, e disposto alla favola, al racconto, più che alle analisi formali o alle filosofie estetiche.
Ma quel che importa sottolineare è la fondamentale indipendenza che caratterizza l'arte di questa pittrice. La pittrice spesso, riprende quasi a sottendere la continuità emozionale delle impressioni fuggevoli, dei ricordi balenanti nel fluttuante mondo di oggi.

                                                                                                              Salvatore Marra Critico D'Arte







Carmelo Caracozzo.

Quando l’arte incontra la genialità creativa del giovane artista Carmelo Caracozzo può uscirne fuori solo dei capolavori. La sua arte è l’espressine dell’arte tradizionale in chiave contemporanea, riprende le basi fondamentali del disegno classico è li rinnova attraverso la sua vena artistica innovativa e soprattutto espressiva, quando si osserva un suo lavoro si entra in una dimensione che mescola reale e surreale. L’espressività e le varie tecniche miste che usa, sono gli elementi base che caratterizzano la grande potenza dell’artista, i lavori dell’artista Carmelo Caracozzo, sono lavori che comunicano e arrivano direttamente all’animo dell’osservatore senza girarci molto intorno. Ha reinventato l’idea dell’artista come Arte. Carmelo Caracozzo scandaglia le potenzialità del rapporto tra l'idea di solarità del colore buttato giù su tela in modo turbolento ma nello stesso momento armonioso e l’ espressione cupa e malinconica dei sui ritratti, sistemati sul piano compositivo con un equilibrio che danno voce alle presenze fisiche del quadro, in mezzo a un silenzio melodioso di spazi affrescati da un lieve mantice di colore buttato di getto, stimolo perfetto per il trasporto in un’altra dimensione. L'opera invita lo sguardo a distendersi dalle evidenze in primo piano, dove luce e colore convergono in una sintesi dagli effetti seducenti. L'artista trasportato dalla consapevolezza di fissare la realtà sulla tela imprimendole quel guizzo lirico che la sospende in una posizione d'incanto, ma soprattutto di estraniazione dal mondo fisico. In questo la pittura di Carmelo Caracozzo realizza quel tratto di congiunzione fra la memoria e la fantasia, tra le esperienze acquisite e le sorprese del contemporaneo, così come egli lo vive a contatto con il reale...

                                                                                                               Salvatore Marra Critico d'Arte







Francesca Coletti.

La pittrice Francesca Coletti ha ingaggiato una ricerca arcana inseguendo apparizioni e tracce di presenza d'immagine, in trame segniche, quasi ectoplasmi grafici, emergenti entro un contesto matericamente sensibilizzato. La sua ricerca sembra evocare spazi d'interiorità memoriale ed è tuttora questa la direzione più esplicita del suo viaggio immaginativo. Eppure i segni che solcano e compongono le sue tele non si limitano a parlare di loro stessi, ma alludono continuamente alla contraddizione principale della moderna arte occidentale: racchiudere necessariamente in una forma il mondo informe che la circonda. E così che i segni che si dispongono sulla tela assumono la doppia natura di una aggiunta di spessore e di significato, i suoi dipinti, infatti, interamente ricoperti dallo spessore concreto della materia cromatica, sollecitano di continuo il linguaggio della pittura, ricercandone i fondamenti logici a partire dalla sua consistenza materiale: vale a dire il colore e l’azione corporale del dipingere. La pittura di Francesca Coletti, in fondo, è fatta di questo: di memoria e natura, di paura e speranza.  Di paesaggi che sono paesaggi dell’animo. Anzi, specchio dell’anima.  Intimi anche quando sconfinati, anche quando la tela sembra risucchiare nel firmamento o far sprofondare fra i flutti. L’abisso che vediamo è il nostro abisso. Mistero, prepotenza e caos del nostro inconscio, del nostro inestricabile intreccio di viscere e cervello.  Di insondabili incroci di geni sconosciuti, che a nostra insaputa ci rendono quel che siamo e che, per quanto ci affanniamo, non comprenderemo mai del tutto.  E’ una paesaggista mentale, Coletti,  grande visionaria che vede al di là, oltre il dato oggettivo. E anche oltre la geologia e la biologia. Oltre le certezze della scienza, oltre ogni facile psicologismo. Si propone con particolare forza cromatica, senza peraltro attenuare l’elaborata tecnica pittorica proprie dell’artista. L’accettazione dei confini spaziali, e quindi temporali, del piano è infatti per Francesca Coletti strumento che potenzia gli esiti della sua ricerca, rendendola più assoluta.
Per restare nell’ambito del linguaggio, le opere della Coletti vivono di una luminosità tutta particolare, che non proviene dall’esterno, non deriva a una fonte che illumina al di fuori quanto è compreso nel perimetro della tela ma è all’interno all’immagine, come da essa prodotta. 
L’artista Francesca Coletti ha scelto una strada che l apparenta ad artisti di epoche e tendenze diverse: la strada di fissare le tracce di un evento lasciando all'osservatore il compito di ricostruirlo….
Cosi facendo, dedicandosi alle impronte lasciate da ciò che è stato su una materia sensibile che è innanzitutto la tela ma che è in seconda istanza la memoria dell'artista e la capacità fantastica dell'osservatore. Coletti esplora il rapporto tra l'essere ed il nulla, tra l'esserci stato di un corpo o di un evento ed il non esserci più, se non attraverso le tracce, gli indizi, le orme negative che potrebbero consentirci di rievocare o forse addirittura ripossedere ciò che è assente.

                                                                                                              Salvatore Marra Critico D'Arte







Sabrina Pantacchini.

L’arte con la pittrice Sabrina Pantacchini ha iniziato un lungo viaggio di ritorno a se stessa dall’esilio. Non nego che l’esilio ci appartenesse come la terra promessa, il luogo dove l’artista poteva decostruire in libertà i sui pensieri apparenti e le sue proteste sociali, dove l’arte si ritenesse giunta al compimento della propria storia sciogliendosi nell’ideologia. Sabrina Pantacchini impersona comunque l’artista nuovo che è tornato dall’esilio con una decisione di un linguaggio, non dedicandosi ad alcuna risorsa che non nascesse dalla necessità di ascoltare le ragioni primarie dell’espressione, ma di dare all’arte un colore ed un’ immagine. Il dipingere di Sabrina vuole abitare nell’arte, farne il suo tempio e la sua assemblea, insediarsi sulle pareti delle tele per pronunciare la radice radicale dell’arte. Egli è risalita alla memoria della loro memoria, alle madri del colore, ed  è emersa da questo limbo celeste con una pronunzia vergine della luce, del campo, della sostanza pittorica. I colori si fronteggiano con i loro accenti primari e urtano senza penetrarsi, è una battaglia tra angeli sui campi arati della forma. I colori della terra e della natura non esistono, vivono solo quelli dell’anima e dell’arte tra cui scontri si accendono ma con successi luminosi. In Sabrina Pantacchini, così la pittura diviene il  luogo della totalità delle
trasformazioni, delle emozioni, delle sensazioni, delle percezioni, il luogo, insomma,
dove si materializza e sostanzia il suo essere donna ed artista, il luogo dove tutto è
possibile e dove il pensiero, il fiume della memoria, la vivacità dei sentimenti, la
istanza emozionale divengono tramite spirituale un  motivo dominante per la
percezione del messaggio. Le opere di Sabrina Pantacchini ci inviata ad entrare nella normalità estraniante dal reale, ad approfondire tali condizioni ed guardala sempre ad occhi aperti. È inutile fantasticare, chiudersi sonnecchiando dentro il proprio mondo fantastico: è la stessa realtà ad acquistare il senso dell’estraneità man mano che spalanchiamo il nostro sguardo meravigliato sul mondo. Anzi più apriamo e sgombriamo la nostra vista da tutti i fantasmi notturni e personali, in più entriamo in contatto in un universo dai mille colori. Questa artista attinge ad un universo fatto da piccole presenze che non hanno il carattere. E pure l’immagine acquistano un senso che portano l’oggetto fuori da ogni contesto abituale e aprirlo alla possibilità di relazioni inedite che gli conferiscono un nuovo statuto di diversa identità. Sabrina Pantacchini pratica una vera e propria opera di corteggiamento sulla attenzione dello spettatore, invitandolo ad entrare nel giardino delle delizie, fatto di tanti colori. Qui l’occhio è  impunemente, affascinato dal silenzio che lo circonda. Dopo l’iniziale corteggiamento, l’attenzione dello spettatore è ormai prigioniera dell’immagine, arresa al potere di una familiarità che è riuscita a tramutarsi in estraneità, a sopportare una metamorfosi. La metamorfosi è possibile perché nell’immagine regna il potere del  linguaggio che tramuta a propria immagine e somiglianza di qualsiasi sembianza. Si mette al servizio di tale mutazione, lavora allegramente, seguendo le proprie regole. Ormai lo sguardo non può più tornare indietro, non può indietreggiare davanti la scena che si presenta lampante e senza possibilità di equivoci e di censure. L’occhio entra nella scena, potendo fin dall’inizio controllare ogni distanza, intravedere ogni dettaglio. La pittura delle pittrice Sabrina Pantacchini  è fatto dunque di corpi astratti e di elementi colorati, e di stati frammentari solidi ed altri unitari e morbidi.

                                                                                                             Salvatore Marra Critico D'Arte






Questo Blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n.62 del 7.03.2001.